È un equilibrio delicato: i disturbi ereditari più frequenti
Lidia Rota Vender
• Specialista in Ematologia
• Presidente di ALT, Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari Onlus > trombosi.org
I disturbi della coagulazione possono essere ereditari. Tra le casistiche principali si annovera la mutazione Leiden del fattore V di cui possono essere portatrici da 2 a 5 persone su 100 e di cui soffrono almeno 20 pazienti su 100 che hanno già avuto un evento tromboembolico. È un’anomalia congenita, non modificabile, che spesso riguarda più persone di una stessa famiglia. Lo stesso accade con la mutazione G20210A del fattore II, la protrombina, che può provocare un aumento del rischio di trombosi arteriose e venose. È trasmessa geneticamente ed è riscontrabile in 20 pazienti su 100 fra coloro che hanno già avuto un evento tromboembolico e in 2 persone su 100 fra quelli che non hanno mai avuto eventi di questo tipo. A influire sulla coagulazione può essere anche l’enzima MTHFR, addetto a mantenere bassi i livelli di omocisteina nel sangue. Se l’enzima geneticamente mutato si associa a elevati livelli di omocisteinemia, aumenta il rischio di malattie vascolari indipendenti, ovvero non legate ad altri fattori di rischio noti e, secondo studi recenti, vengono favoriti disturbi cronici cerebrali come demenza e Alzheimer.
Infine, concorre a modificare la coagulazione anche il PAI-I, enzima delegato a controllare il sistema della fibrinolisi: se mutato, potrebbe portare i trombi che si formano nelle arterie o nelle vene a rimanere in situ più a lungo, ostacolando il flusso del sangue. Una mutazione che, secondo alcuni ricercatori, costituisce un fattore di rischio per aborti ripetuti o difficoltà nel portare avanti una gravidanza.