A causarle è l’accumulo di proteine “anomale”, che precede di anni, anche decenni, le prime manifestazioni cliniche. Da qui l’importanza degli strumenti di indagine che hanno l’obiettivo di predire la patologia prima possibile per cercare con i nuovi farmaci, oggi in sperimentazione, di modificarne il decorso prevenendone gli esordi.
Carlo Ferrarese
• Direttore Scientifico del Centro di Neuroscienze di Milano dell’Università di Milano-Bicocca
• Direttore della Clinica Neurologica dell’Ospedale San Gerardo di Monza
Negli ultimi vent’anni, grazie alla ricerca genetica e alla biologia molecolare, si è compreso come alla base delle malattie neurodegenerative vi sia l’accumulo nel cervello di proteine “anomale”, ovvero di proteine normalmente presenti nel cervello, che a causa di predisposizioni genetiche o di fattori ambientali sono prodotte in eccesso o non sono rimosse danneggiando le sinapsi, le cellule nervose e i loro collegamenti, con la successiva perdita delle funzioni di determinate aree cerebrali.
In particolare, vengono danneggiate le aree corticali associative e il sistema della memoria nella malattia di Alzheimer, le aree sottocorticali deputate al controllo del movimento nella malattia di Parkinson e le aree motorie e i neuroni del midollo spinale nella Sclerosi Laterale Amiotrofica.
La Malattia di Alzheimer È la più comune forma di demenza: nel mondo colpisce circa 25 milioni di persone e solo in Italia registra più di 600.000 casi. Considerando l’aumento dell’aspettativa di vita, si calcola che nel 2050 ci saranno oltre 100 milioni di persone con Alzheimer.La malattia si manifesta con iniziali disturbi di memoria, cui si associano nel corso del tempo disturbi del linguaggio, dell’orientamento, delle capacità di ragionamento, critica e giudizio, con perdita progressiva dell’autonomia funzionale.
Gli esordi: il disturbo cognitivo lieve
Con il termine demenza si intende proprio la perdita di autonomia, mentre per descrivere i disturbi iniziali di memoria, con autonomia interamente conservata, si parla di disturbo cognitivo breve (MCI), che spesso precede di alcuni anni la malattia vera e propria. Alla ricerca delle cause della malattia
La ricerca ha dimostrato che alla base della malattia vi è l’accumulo progressivo nel cervello di una proteina, chiamata beta-amiloide, che distrugge le cellule nervose e i loro collegamenti. Oggi è possibile dimostrare l’accumulo di questa proteina nel cervello mediante la PET e analizzarne i livelli nel liquido cerebro-spinale con una puntura lombare. Tali esami possono dimostrare accumuli della proteina anche anni prima delle manifestazioni cliniche permettendo una diagnosi più accurata, precoce o addirittura preclinica.