Dovrebbe iniziare nei primi giorni dopo l’ictus, ma manca ancora un protocollo d’intervento uniforme In Italia viene spesso condotta in modo disorganizzato e frammentario benché sia fondamentale iniziarla prima possibile e continuarla con impegno e costanza.
Stiamo parlando della riabilitazione post-ictus, al centro dell’edizione italiana della Giornata mondiale del 29 ottobre.
L’ictus colpisce ogni anno milioni di persone in tutto il mondo, 200mila nel nostro Paese. Molte non riescono a sopravvivere e un numero molto alto rischia una grave disabilità e la dipendenza, a vita, dagli altri. Si stima che ogni anno siano 50mila gli italiani che dopo la fase acuta di un ictus presentano problemi importanti a livello motorio, cognitivo o linguistico.
Migliorare e organizzare al meglio la riabilitazione è allora un obiettivo primario poiché è «in grado di stimolare la cosiddetta plasticità neuronale, ovvero la capacità delle aree cerebrali non colpite dall’ictus di compensare le zone danneggiate, favorendo il recupero delle funzioni perse» come spiega Domenico Inzitari, Ordinario di Neurologia a Firenze e Presidente del Comitato Tecnico Scientifico di A.L.I.Ce. Italia Onlus. «In queste attività intervengono molte vie molecolari che oggi vengono via via identificate, tra le quali il Brain Derived Neurotrophic Factor, che sta emergendo come il fattore centrale della neuroplasticità durante la riabilitazione post-ictus. Inoltre, alcune moderne tecniche di Risonanza Magnetica come il DTI – Diffusion Tensor Imaging sembra rappresentino uno strumento utile alla predizione del recupero motorio a seguito della riabilitazione post-ictus».