Intervista a Lidia Rota Vender
Specialista in Ematologia – Presidente di ALT, Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari Onlus > trombosi.org di Luisa Castellini
Solo 13 donne su 100 la considerano un nemico: le altre sono convinte che la malattia più pericolosa sia sempre il tumore alla mammella. E la maggior parte sottovaluta o trascura i sintomi e così scopre tardi di avere la pressione alta o di essere diabetica ritardando l’inizio delle cure. Eppure da tempo la ricerca scientifica ha dimostrato quanto le malattie cardio e cerebrovascolari colpiscano duramente anche le donne, soprattutto con l’avanzare dell’età. Le proiezioni, in un paese sempre più senior, indicano infatti che una donna su cinque, dopo i 65 anni, rischia di essere colpita da un ictus. Dal ruolo degli ormoni alla diversa percezione dei campanelli d’allarme fino alla ricerca farmacologica, ecco perché l’informazione e la prevenzione sono un’emergenza.
In che modo le differenze di genere influenzano il rischio di malattie cardiovascolari?
Le donne non sono diverse dagli uomini solo per quanto appare chiaro dai caratteri sessuali secondari: apparato genitale, mammelle, distribuzione del grasso, ma anche per il loro “mondo” ormonale. Gli ormoni che regolano il ciclo mestruale sono peculiari della donna e hanno un forte impatto diretto sul sistema della coagulazione del sangue. Gli ormoni femminili che vengono in parte a ridursi e in parte a mancare con l’arrivo della menopausa cambiano gli equilibri ormonali. La gravidanza costituisce un periodo a sé: la circolazione del sangue rallenta, il cuore deve far circolare una massa di sangue aumentata del 50% rispetto al normale (7.5 litri anziché 5 litri), senza dimenticare la compressione dell’utero che si ingrandisce sulle vene iliache che dovrebbero riportare il sangue al cuore. Tutti questi fattori rendono molto diverso il mondo ormonale della donna e comportano variazioni nella biochimica del sangue e nella dinamica dei flussi che aumenta la tendenza del sangue a coagulare. Età, familiarità, ipertensione, diabete, colesterolo alto, fumo di sigaretta: i fattori di rischio tradizionali incidono diversamente sulla salute delle donne?
Tutti i fattori di rischio ben noti incidono sulla probabilità di eventi cardio e cerebrovascolari, ma la donna scopre spesso troppo tardi di essere ipertesa, diabetica o di avere il colesterolo alto. La diagnosi e la successiva correzione di queste malattie comporta un ritardo nell’inizio delle cure e un deterioramento accelerato della salute delle arterie e delle vene e di conseguenza di tutti gli organi.
Quali sono i fattori di rischio specifici per le donne?/dt_highlight]
Quelli legati agli ormoni, naturali prodotti dalla donna in diverse fasi della vita fertile e quelli assunti dall’esterno a scopo contraccettivo, sostitutivi in menopausa o per esempio per la prevenzione a lungo termine della recidiva del tumore della mammella come il tamoxifene. Come incide il genere nella diagnosi delle trombosi? Gli uomini e le donne hanno sintomi diversi?
Gli uomini sono generalmente più fragili nei confronti del sintomo, lo sentono prima, si allarmano più facilmente e quindi lo segnalano permettendo una diagnosi precoce e una cura tempestiva. Pensiamo alla fibrillazione atriale, al disturbo del ritmo del cuore che spesso nella donna compare in forma lieve, con sintomi sfumati, o sentito come palpitazione, alla quale lei non dà tanto peso. La fibrillazione nella donna spesso provoca ictus, proprio perché i sintomi sfumati non la mettono in allerta e i trombi hanno più possibilità di formarsi nel cuore che fibrilla liberando emboli che arrivando al cervello provocano TIA (attacchi ischemici transitori). Questi per definizione sono transitori quindi i sintomi compaiono e scompaiono, e la donna tende a sottovalutarne l’importanza come campanelli d’allarme, purtroppo ritardando in questo modo la diagnosi e le cure. Fino agli anni ’90 la medicina era prettamente androcentrica, anche nelle terapie. Come si è evoluta la ricerca farmacologica in rosa?
Se osserviamo gli studi clinici importantissimi che hanno portato alla cura di malattie importanti con farmaci anti-ipertensione, anti-colesterolo, anti-diabete, la maggior parte è stata sperimentata sugli uomini, e certamente non in parti uguali su uomini e donne. Si dava per scontato che una molecola che funzionava sulla popolazione maschile dovesse avere gli stessi risultati anche sulle donne, fatti i debiti adattamenti per il peso, ma non per il peculiare assetto ormonale. Oggi gli studi sui nuovi farmaci cercano di mantenere un equilibrio per i due generi, con un’importante impennata in termini di considerazione per il genere femminile.
Come si calcola il rischio di malattie cardiovascolari? Quali sono i parametri da tenere sotto controllo?
Sono stati messi a punto dall’Istituto Superiore della Sanità e dalle società scientifiche numerosi score per la valutazione del rischio. Il loro limite è che sono stati considerati alcuni fattori di rischio ma non tutti. Non per tutti, infatti, erano disponibili dati epidemiologici solidi che permettessero di inserirli nelle tabelle di valutazione. Con tutto il rispetto per gli score, che sono un utile strumento, ritengo che siano un punto di partenza e un metodo stimolante per affrontare il problema. La vera valutazione del profilo di rischio deve sempre essere fatta osservando il paziente, raccogliendone l’anamnesi personale e familiare in modo accurato e considerando tutti i dettagli che possono avere un impatto sulla probabilità di eventi, alcuni dei quali emergenti come il livello dell’acido urico, i precedenti per calcolosi renale, le infezioni ricorrenti, le malattie autoimmuni. Ad aprile oltre alla giornata contro la lotta alla trombosi si celebra la seconda edizione della giornata nazionale sulla salute della donna.
Quali sono gli obiettivi che la sanità dovrebbe porsi per prevenire e affrontare meglio le malattie da trombosi nelle donne?
Da molti anni nelle Linee guida emanate dal Ministero sono citate le malattie cardiovascolari come priorità assoluta in termini di prevenzione. A parte dichiarazioni di buone intenzioni, non sono state investite in modo massiccio risorse che permettano campagne tali da modificare l’atteso incremento esponenziale delle malattie cardiovascolari nei prossimi anni previsto in l’Italia e negli altri paesi industrializzati. Uno spreco di tempo e risorse, se si pensa che per ogni aumento del 10% dei casi di infarto, ictus cerebrale, embolia polmonare e trombosi venose e arteriose è atteso un calo di mezzo punto del PIL. Nessun paese sarà in grado di affrontare in termini economici i costi per la diagnosi, la cura e la riabilitazione di tutti coloro che saranno colpiti. Solo la partecipazione attiva del paziente a intraprendere seriamente una “manutenzione” del proprio corpo tempestiva, dall’infanzia alla vecchiaia, potrà cambiare questo destino.